In QUO VADIS, BABY? subito questo s'impone, direi dilaga in tutta la sua evidenza. Meglio ancora, prepotenza. E allora, nei chiaroscuri soffocanti ed allusivi dei portici di Bologna la ricercatezza espressiva fortissimamente voluta dal regista finisce per rivoltarsi contro le intenzioni del film. Sottolineandolo, appesantendolo; come quella recitazione facilmente disinvolta.

Nel titolo, preso a prestito dall'abbondantemente citato ULTIMO TANGO A PARIGI, c'è la spiegazione finale che si affida ad uno dei capolavori assoluti del cinema, M, IL MOSTRO DI DUSSELDORF. Pure qui, in uno sfoggio cinefilo piuttosto sbrigativo: poiché Fritz Lang chiude con una celebre replica che invita a prendersi cura dei propri figlioli, qui il parallelo rimanda tutti i guai, piuttosto schematici e prevedibili della protagonista ai soliti rapporti freudianamente irrisolti.